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Pirandello, Luigi.

Scrittore e drammaturgo italiano. Nato nei pressi di Girgenti (Agrigento) da una famiglia della borghesia commerciale in cui era viva la tradizione patriottica e garibaldina, visse una giovinezza agiata. Dopo aver iniziato gli studi tecnici a Palermo, passò a quelli letterari, che continuò a Roma e perfezionò a Bonn. Mosso da interessi filologici, si laureò nel 1891 all'università di Bonn con una tesi di argomento glottologico sui dialetti greco-siculi (La parlata di Girgenti). A Bonn fu per un anno lettore di italiano. Tornato a Girgenti, sposò Antonietta Portulano e con lei si trasferì a Roma nel 1894. Qui frequentò giornalisti e scrittori, tra cui Luigi Capuana, il narratore e teorizzatore del Verismo. Grazie a Capuana entrò in contatto con il mondo intellettuale romano. Sempre per incoraggiamento di Capuana si venne dedicando alla narrativa, con il romanzo L'esclusa e le prime novelle, passando così dall'influenza carducciana, avvertibile nei versi giovanili, a quella verghiana e veristica. La poesia, cui P. si era dedicato negli anni trascorsi in Germania (Pasqua di Gea, 1891; Elegie renane, 1895; Zampogna, 1901), divenne progressivamente un interesse sempre più marginale nella sua produzione letteraria, a vantaggio della saggistica, della narrativa e del teatro. Nel 1897 P. cominciò a insegnare Letteratura italiana alla facoltà di Magistero. L'allagamento di una zolfara, nella quale era stato impegnato tutto il patrimonio della famiglia, portò la moglie a una depressione destinata a sfociare con il tempo nella pazzia (e nevrosi e pazzia sarebbero stati motivi frequenti della futura arte pirandelliana). Intanto P. scriveva e pubblicava le sue prime opere di narrativa. Nel 1910 diede inizio all'attività teatrale, in sodalizio con il comico siciliano Angelo Musco. Il 1915 segnò una nuova fase tragica della sua vita: il figlio Stefano, partito per la guerra, fu fatto prigioniero, mentre la malattia della moglie si aggravò, imponendole il ricovero in una clinica psichiatrica. Tuttavia gli anni del dopoguerra furono estremamente fecondi sul piano creativo, specialmente in campo teatrale. Nel 1925 P. fondò la Compagnia del Teatro d'Arte; qualche anno dopo cominciò a collaborare alla sceneggiatura e all'adattamento cinematografico di alcune sue opere, che nel frattempo venivano apprezzate in tutto il mondo. Accademico d'Italia dal 1929, gli fu conferito nel 1934 il premio Nobel per la letteratura. ║ Ideologia e poetica: all'origine della visione del mondo di P. è quella medesima crisi di una filosofia, il Positivismo, e dei valori di una società, la società borghese ottocentesca, che era alle radici della civiltà decadente. Formatosi appunto nel periodo del trapasso dal Verismo al Decadentismo, P. assume piena coscienza di questo difficile momento di transizione, ed è forse lo scrittore italiano che meglio rappresenta la lunga crisi storica che parte dal Risorgimento fallito, aderisce all'Anarchismo antiparlamentare e antiliberale del nascente Fascismo, tenta un adeguamento alla politica del regime e registra, infine, anche il suo fallimento. Il problema del rapporto tra uomo e società è centrale in P., così come è radicale la negazione di una possibile integrazione dell'uno nell'altra. Nell'opera di demolizione dei miti umanistici e spiritualistici che affermano la centralità umana e l'unicità del punto di vista interpretativo della realtà, lo scrittore rapidamente passa dall'area del Decadentismo a quella dell'Esistenzialismo e del Novecentismo e anticipando, sia nella narrativa sia nel teatro, molti temi e molte tecniche poi ripresi nel secondo dopoguerra. Fondamentale è per P. il contrasto fra ciò che appare (la "forma") e ciò che è (la "vita"). La vita è un universale ed eterno fluire, incessante trasformazione da uno stato all'altro, ma viene irrigidita, fissata in forme, interpretata cioè o costruita in modo diverso a seconda delle epoche e relativamente alle convinzioni di ciascun individuo: ciascuno di noi, in altri termini, dà una forma alla vita, ne ha una sua visione, ha una sua verità. Ma la realtà, per la sua natura magmatica, è inafferrabile, e pertanto quello che noi chiamiamo "reale" è una costruzione illusoria continua. In questo flusso, in questo perpetuo divenire che è la vita, non esiste un disegno: l'elemento dominante è il caso, da cui non si può estrarre una logica. All'interno dell'Io, il contrasto tra vita e forma diventa contrasto tra ciò che sembriamo esteriormente, agli occhi degli altri - ma anche di noi stessi, che tendiamo a costruirci del nostro Io un'immagine convenzionale - e la nostra vera, schietta realtà, che noi vorremmo affermare. Senonché la nostra personalità non è univoca, non ha una realtà fissa, oggettiva: al di sotto della maschera in cui ci si cristallizza, l'anima si muove in perenni trasmutazioni. Applicato alla società, il contrasto tra vita e forma diventa conflitto tra la natura da una parte, e le istituzioni storiche e le convenzioni sociali dall'altra - le "forme" che gli uomini si sono date e che hanno finito con il ridurli a marionette, secondo la definizione pirandelliana. Di qui, i rapporti alienati tra gli individui; di qui anche la caratteristica del personaggio pirandelliano, sempre sconfitto dalla società, incarnata nella società borghese tra Ottocento e Novecento, e dai suoi riti. Nell'arte, il contrasto tra vita e forma si traduce nell'umorismo, nella capacità di cogliere criticamente le contraddizioni del reale, integrando rappresentazione della realtà quale appare e riflessione su quanto si cela dietro le apparenze. Dal punto di vista stilistico, l'umorismo "scompone, disordina, discorda"; porta a opere disarmoniche, frammentate da digressioni continue: che è appunto il carattere dello stile pirandelliano. L'assurdo esistenziale, i capricci del caso, la disgregazione dell'individuo e quindi del personaggio, l'incomunicabilità, i condizionamenti e le ipocrisie della società borghese sono i temi che P. ha in comune con la grande narrativa decadente europea (e con Svevo). ║ La saggistica: P. svolse una intensa attività di pubblicista e conferenziere, collaborando a numerosi giornali e riviste e tenendo spesso discorsi in occasioni ufficiali. Fra gli scritti teorici spicca il saggio L'umorismo, pubblicato nel 1908, che costituisce la basilare chiave di interpretazione dell'intera sua opera di scrittore. Pur essendo discutibile nella sua impostazione teorica, il saggio contiene alcuni fondamenti della poetica pirandelliana. La polemica che sorse tra Croce e P. in seguito alla pubblicazione di questo saggio rispecchia due giudizi storici e due posizioni esistenziali opposte: Croce affermava l'ottimismo della supremazia della ragione, della filosofia e dell'arte classica. P. rovesciava questa posizione: la ragione umana è insufficiente a spiegare una condizione alienata al mondo, alla società e infine a se stessa; rintracciava, quindi, nelle espressioni artistiche atteggiamenti capaci di restituire l'immagine di un mondo disarmonico, contorto e sconnesso; un mondo che non si spiega con le categorie logiche e che si può solo sottoporre all'analisi della riflessione e della coscienza critica. Sostanzialmente, i fondamenti dell'estetica pirandelliana non superano quelli espressi da Croce nella sua Estetica del 1902; conta il fatto che lo scrittore, con questo saggio, non intende fondare una estetica, ma vuole solo legittimare uno strumento parziale di conoscenza di un mondo disarticolato, parcellizzato, privo di valori assoluti e quindi privo di un unico punto di vista interpretativo. Il saggio sull'umorismo, anziché un'estetica mancata, è piuttosto la prova dell'inessenzialità di un'estetica per la generazione che ha dissipato le estetiche precedenti, idealistiche e romantiche. La figura dell'umorista, quale compare spesso nelle opere di P., non è un filosofo, bensì un intellettuale, cioè una coscienza critica capace di esprimere gli estremi del suo dissenso tra quel che sembra e quel che è, gli estremi della sua estraneità a un mondo di cui si diagnostica la inautenticità e l'estraneità all'uomo. La prima parte del saggio è dedicata alla definizione ed esemplificazione dell'arte umoristica secondo un taglio storico, orizzontale, con molte citazioni tratte dalla storia letteraria. Nella seconda parte l'autore argomenta la propria concezione dell'umorismo, ponendo la differenza tra comicità e umorismo: mentre la comicità si basa su opposizioni nette e genera nel fruitore una reazione immediata e sicura, un effetto irresistibile capace di suscitare il riso, l'umorismo si distingue per la presenza di contrasti sfumati, che generano nel fruitore una reazione perplessa e ambivalente. L'umorismo induce non al riso ma alla riflessione, poiché in esso gli aspetti potenzialmente comici di una situazione si mescolano a risvolti drammatici, determinando appunto l'ambivalenza della reazione. In quanto "sentimento del contrario", l'arte umoristica si serve della riflessione per negare e capovolgere il messaggio del dato obiettivo, e del "sentimento" per stabilire un rapporto di continuità e di comprensione con quel dato. All'origine della poetica dell'umorismo c'è la coscienza della inautenticità della vita sociale e della necessità della menzogna, che conduce l'uomo a una continua simulazione: la vita è flusso continuo che noi cerchiamo di arrestare in forme stabili e determinate dentro e fuori di noi, in forme che vorremmo coerenti e che ci inducono invece a continue finzioni. L'atteggiamento umoristico conduce alla consapevolezza dell'inganno, perché esso "vede in tutto una costruzione o finta o fittizia del sentimento e con arguta, sottile e minuta analisi la smonta e la scompone; ugualmente, le opere umoristiche sono scomposte, interrotte, intramezzate di continue digressioni". Viene in tal modo formulata la concezione di un'arte che si regola sull'oggetto rappresentato e che dalla disorganicità e sconnessione deduce la necessità di una forma sconnessa e disgiunta, capace di aderire all'oggetto oltre ogni modello di tipo retorico. Sono queste le premesse che consentono a P. di condurre la sua rivoluzione formale, quella che la critica ha definito la sua "scomposizione cubista del mondo narrativo verista", così come si realizza nelle novelle, nel Fu Mattia Pascal e nel teatro. Lo sperimentalismo di P. in campo linguistico è più agguerrito di quello di qualsiasi avanguardia: la sua è una lingua perfettamente aderente alla poetica dell'umorismo, che elimina le gerarchie di rango e di valore e mescola tutto il lessico in vista di un effetto espressivo comico e contemporaneamente tragico. Una lingua profondamente mimetica rispetto al personaggio, che si esprime, nella narrativa, nel discorso indiretto libero o nell'a solo recitativo. Altri saggi di P. sono Arte e coscienza d'oggi (1893) e Teatro vecchio e teatro nuovo (1923). ║ La narrativa: il genere novellistico costituisce il laboratorio principale della ricerca letteraria di P. Dalle novelle le invenzioni narrative di P. trapassano nei romanzi e soprattutto nel teatro. P. stesso programmò la raccolta completa della sua produzione novellistica sotto il titolo di Novelle per un anno, quasi a voler significare il carattere strutturale all'interno della sua concezione della letteratura e del mondo della predilezione accordata a questo genere letterario, che lo scrittore continuò infatti a coltivare per tutta la vita. Nella novella, in effetti, la poetica dell'umorismo trova la sua forma specifica: per la brevità del racconto, per la stessa condensazione della narrazione, che offre la possibilità di protrarre il paradosso in limiti non deludenti per il lettore. È possibile ricostruire a grandi linee i tratti della novella esemplare di P. (gli stessi peraltro che è possibile rintracciare nei romanzi): nella situazione quotidiana e normale un elemento accidentale, sia esso esterno al personaggio o interno ad esso, viene a rompere la consuetudine e a modificare il livello di coscienza del personaggio. Questo elemento sconvolge una esistenza, ma le acquista anche spessore e coscienza. Il personaggio accentua il suo isolamento, la sua estraneità al mondo: nome, ritratto, lingua mirano a questa posizione di tragica e comica estraneità della logica del personaggio alla logica della vita. Nella novella La carriola, per limitarsi ad un esempio tra i molti, il protagonista è un uomo che viene visto dagli altri come buon padre di famiglia e affermato professionista. Anch'egli si riconosce in questo ruolo, del quale è convinto. Ed ecco che un giorno, inaspettatamente, ha, folgorante, la sensazione che avrebbe potuto vivere un'altra vita, diversa; e allora la sua condizione e il suo ruolo gli diventano intollerabili. Ma ormai è troppo tardi per cambiare, ed egli dovrà essere per sempre schiavo della sua maschera, della sua "forma", che è quella che gli altri gli hanno imposto, ma che lui stesso ha contribuito a crearsi. Quando un individuo - più attento a cogliere le intuizioni del suo inconscio o a indagare su se stesso - arriva a capire la sua condanna, va incontro inevitabilmente agli esiti di una disperata situazione esistenziale, segnata dalla nevrosi, dalla pazzia o dal suicidio. Nelle novelle di P., come nei romanzi, l'ambientazione è quella solita degli ambienti della media e piccola borghesia di fine Ottocento o di inizio secolo, non diversamente da quanto avveniva nei romanzi di Capuana e dei continuatori del modulo veristico. Ma il mondo ideologico del Verismo appare in P. corroso dall'interno e reso impraticabile, posto in crisi dalla disarticolazione umoristica della vicenda. Questo procedimento è già avvertibile chiaramente nel romanzo L'esclusa (1901), l'opera che segnò l'esordio di P. come romanziere. In esso una donna, Marta Aiala, accusata di aver tradito il marito, è costretta dalla gretta e spietata mentalità paesana ad abbandonare la casa, il luogo natale, il lavoro. Quando però in un impulso di ribellione cede all'uomo che le hanno attribuito come amante, si verifica il paradosso: il marito, convinto ora della sua innocenza, la rivuole con sé. Il tema dell'adulterio, che costituisce l'argomento principale del romanzo, è uno dei più ricorrenti nella letteratura naturalistica dell'epoca. Senonché a P. tale tema interessa solamente per lo sviluppo paradossale che è destinato ad avere nel corso della vicenda. L'uso puramente sperimentale dei moduli veristici è ancora più evidente nel romanzo successivo, Il turno (1902), e soprattutto nel Fu Mattia Pascal (1904), che è il romanzo che consacrò definitivamente P. come narratore. In quest'opera, il protagonista Mattia Pascal, al termine di una gioventù dissipata, si trova costretto ad affrontare una vita matrimoniale che si rivela disastrosa e nella quale egli sente annullata, di giorno in giorno, la sua dignità di uomo. Quando ormai dispera di poter realizzare una vita "autentica", il caso lo aiuta con una vincita al gioco; ancora il caso gli fa apprendere in treno, da un giornale, di essere stato identificato dai familiari nel cadavere di un suicida. È una illuminazione: egli decide di sparire per sempre, di cambiare generalità, di cambiare fisionomia e vita! Eccolo quindi a Roma, con il nome di Adriano Meis: va in pensione in una famiglia, conosce una ragazza, se ne innamora... ma non può sposarla, né difenderla, né difendersi: senza una forma, uno stato anagrafico, non è possibile essere accettati nel consorzio civile. Inscena così, rassegnato, un finto suicidio e ritorna a casa. Ma la moglie si è creata una nuova famiglia, ed egli è ancora una volta un escluso, ai margini della vita. Unica, ironica consolazione, visitare la propria tomba e ricercare una identità sul filo del paradosso: "Io sono il fu Mattia Pascal". Questo è forse il romanzo pirandelliano che più radicalmente scardina la tecnica narrativa verista: per la mancanza di linearità del tempo narrativo e l'invertito rapporto causa-effetto che governa l'intreccio. Le scene nella casa da gioco rappresentano l'emblema della vicenda: da un insieme di elementi casuali nasce una necessità, un destino. La poetica dell'umorismo trova qui la sua più organica applicazione. L'opera narrativa di P., oltre alle raccolte di novelle Amori senza amore (1894) e Novelle per un anno (1922), comprende anche i romanzi Suo marito (1911); I vecchi e i giovani (1913); Si gira (1916) (ripubblicato successivamente con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore); Uno, nessuno e centomila (1926). ║ Il teatro: tradizione e sperimentazione: dal 1916 al 1936, anno della sua morte, l'attività di P. si rivolge principalmente al teatro. Il teatro pirandelliano ripercorre le tappe già sperimentate nella narrativa: dalle forme di un verismo scardinato nella sua struttura interna a quelle impresse dal personaggio umorista, a quelle infine della disarticolazione dei ruoli sociali e alla negazione della stessa forma drammatica adottata. Il teatro di P., i cui drammi hanno complessivamente il titolo di Maschere nude, analogamente a quanto si è detto per le novelle e i romanzi, si muove dapprima sulle orme della commedia borghese in voga ai suoi tempi. È questo il caso di commedie come Lumie di Sicilia (1910), Pensaci, Giacomino! (1916), Liolà (1917, scritta originariamente in dialetto siciliano), Così è (se vi pare) (1917), Il piacere dell'onestà (1917), Ma non è una cosa seria (1918), Il gioco delle parti (1918), La patente (1919), Tutto per bene (1920), Come prima, meglio di prima (1920), La signora Morli, una e due (1920), ecc., desunte per lo più da sue novelle. I temi di queste opere teatrali sono in gran parte gli stessi delle opere narrative (molti drammi, d'altronde, furono la trasposizione teatrale di novelle, e le novelle pirandelliane, del resto, contenevano una implicita struttura drammatica). L'impianto di questi primi lavori teatrali è ancora, almeno apparentemente, naturalistico. Domina il "personaggio" nell'accezione "umorista" che si è vista in precedenza. La sua caratteristica essenziale è quella di stare dentro e fuori il dramma stesso, dentro come oggetto e vittima che subisce, fuori come coscienza critica dell'azione. Al centro di queste opere teatrali, sta un personaggio stonato rispetto all'ambiente, che viene posto o si pone in situazioni paradossali, in costituzionale collisione con tali situazioni, di cui rappresenta la capacità di sopportazione e contemporaneamente il giudizio e il distacco, cioè la coscienza. Il personaggio domina queste situazioni con la forza del ragionamento, rigidamente consequenziale, e con la coscienza del paradosso, senza demolirne le premesse, senza realmente uscire da esse. In altri termini, il personaggio è così immerso in una situazione da teatro borghese: Ciampa nel Berretto a sonagli, Baldovino nel Piacere dell'onestà, Leone Gala nel Gioco delle parti, sono finti mariti che pretendono di condurre fino in fondo il loro finto ruolo, denunciando i rischi dell'uscita dalla finzione e provocando in tal modo l'emergere della situazione contraddittoria di tutti i personaggi. La costante che rende umoristico il personaggio è l'irrigidimento del codice sociale, fino alla sua inversione funzionale; infatti, spingere fino in fondo i termini della moralità codificata provoca la disfunzione del codice e il disvelamento del suo valore puramente strumentale. Questi personaggi che pretendono l'assoluta coerenza dell'apparire sono la finzione esistenziale-teatrale che presenta se stessa come unica possibile espressione di una società che ha perso da molto tempo la radice dell'essere. A partire dalla trilogia costituita dai Sei personaggi in cerca d'autore (1921), Ciascuno a suo modo (1924), Questa sera si recita a soggetto (1930), lo sperimentalismo del teatro pirandelliano si accentua fino a costituire una novità dirompente. In questi drammi metateatrali l'abolizione della funzione naturalistica comporta una vera e propria rivoluzione dei mezzi rappresentativi di P.; la scena non finge più il salotto borghese, ma finge quello che è: una scena di teatro. Nei Sei personaggi in particolare, la straordinarietà della costruzione poggia non tanto sulla proposta, in sé non nuova, di un teatro nel teatro, quanto sul problema del rapporto tra autore e personaggi, cioè sul problema stesso della creazione artistica. La trama di quest'opera, il cui successo consacrò P. come drammaturgo di fama mondiale, è la seguente: mentre una compagnia drammatica prova Il gioco delle parti di P., sulla scena appaiono misteriosamente sei personaggi: il Padre, la Madre, la Figliastra, il Figlio, il Giovinetto, la Bambina. Essi nascono, spiega il Padre, dalla fantasia di un autore che però non seppe e non volle farli vivere in un'opera d'arte; rifiutati dall'autore, cercano qualcuno che li rappresenti sulla scena - che dia loro, quindi, una "consistenza". Fra lo sbigottimento degli attori, in un susseguirsi di interruzioni e di riprese caotiche, ciascuno di loro racconta un torbido dramma di rapporti familiari, finché si arriva alla tragedia finale: la Bambina annega in una vasca e il Giovinetto si spara. Ma - e qui sta il paradosso - questi fatti potevano essere, ma non sono avvenuti; l'autore che li ha immaginati ha rifiutato di dare forma compiuta ai personaggi e alle loro vicende, perché il loro essere allo stato fluido rappresenta la tragica condizione esistenziale: se la vita è un perenne fluire, una situazione o un personaggio definiti non possono raffigurarla. Quando poi il Capocomico, affascinato suo malgrado dalla materia teatrale che gli viene proposta, tenta di proporne la recitazione ai suoi attori, si crea il secondo dramma dei personaggi: essi non si riconoscono nella recitazione degli attori. Solo loro possono rappresentare, o meglio vivere, la tragedia, che è poi la loro realtà: una realtà che si ripete nell'eternità dell'arte. L'autore ha sostituito al dramma la dimostrazione dell'impossibilità di rappresentarlo: scardinata ogni convenzione scenica, veniva messo in discussione tutto il teatro precedente. Tra le altre opere teatrali di P.: La morsa (1910); La giara (1917); Enrico IV (1922); All'uscita (1922); Vestire gli ignudi (1923); L'uomo dal fiore in bocca (1923); La vita che ti diedi (1923); Lazzaro (1929); Come tu mi vuoi (1930); Quando si è qualcuno (1933); I giganti della montagna (1937) (Caos, Agrigento 1867 - Roma 1936).
Luigi Pirandello


LE OPERE DI LUIGI PIRANDELLO
Opere poetiche
1889
Mal giocondo
1891
Pasqua di Gea
1894
Pier Gudro. Poemetto
1895
Elegie renane
1901
Zampogna
1909
Scamandro
1912
Fuori di chiave
1891-96
Elegie romane. Traduzione da Goethe
1933
La favola del figlio cambiato. Libretto per la musica di G.F. Malipiero
Novelle
1894
Amori senza amore
1922
Novelle per un anno
Opere Teatrali
1899
La ragione degli altri
1910
La morsa
1910
Lumìe di Sicilia
1916
Pensaci, Giacomino!
1917
Liolà
1917
Il berretto a sonagli
1917
Così è (se vi pare)
1917
La giara
1917
Il piacere dell'onestà
1918
Ma non è una cosa seria
1918
Il giuoco delle parti
1919
L'uomo, la bestia e la virtù
1919
La patente
1920
Tutto per bene
1920
Come prima, meglio di prima
1920
La signora Morli, una e due
1921
Sei personaggi in cerca d'autore
1925
La sagra del Signore della nave
1922
Enrico IV
1922
All'uscita
1923
Vestire gli ignudi
1923
L'uomo dal fiore in bocca
1923
La vita che ti diedi
1924
Ciascuno a suo modo
1926
Diana e la Tuda
1927
L'amica delle mogli
1928
La nuova colonia
1929
Lazzaro
1930
Questa sera si recita a soggetto
1930
Come tu mi vuoi
1931
Sogno (ma forse no)
1932
Trovarsi
1933
Quando si è qualcuno
1937
I giganti della montagna
Romanzi
1901
L'esclusa
1902
Il turno
1904
Il fu Mattia Pascal
1911
Suo marito
1913
I vecchi e i giovani
1916
Si gira
1926
Uno, nessuno e centomila
Saggistica
1908
Arte e Scienza
1908
L'Umorismo